Bambini e sport: come aiutarli a superare ingiustizie, esclusioni e delusioni
Questa mattina ho ricevuto una telefonata dalla mamma di un piccolo calciatore di una squadra della periferia torinese. Queste le sue parole:
“Mio figlio gioca nella squadra riserve, composta da tutti i bambini scartati dalla prima squadra. Hanno partecipato ad un torneo e sono riusciti, con grande soddisfazione, a raggiungere la finale. Nonostante tutto la società e l’allenatore, il giorno della partita decisiva per la conquista della coppa, hanno deciso di convocare i giocatori della squadra più forte, mandando mio figlio e i suoi compagni a fare un’amichevole. Io sono arrabbiata e preoccupata per come queste dinamiche possano ripercuotersi sul benessere di mio figlio e degli altri bambini. Cosa si può fare?”
Premessa
Premetto di non essere stato sorpreso da questo genere di racconto, è un “film già visto”, prima da bambino con le scarpette ai piedi e poi da psicologo. Da piccolo non prestavo particolare attenzione quando accadevano fatti come questo, o meglio, non potevo farlo. Il mio cervello, ancora in via di sviluppo, non consentiva di osservare la situazione da una prospettiva più ampia. Riuscivo a “vedere” solo un pezzetto della questione, quello che mi riguardava.
Non ricordo di essere stato dall’altra parte, da quella dell’escluso, che dopo aver sudato e gioito per un traguardo insperato deve fare spazio ai “più forti”. Ero ben contento quindi di scendere in campo per giocarmi la finale, orgoglioso e responsabilizzato per essere chiamato in causa nel momento decisivo, totalmente incurante delle logiche sottostanti. Col senno di poi non so se questa sia stata una vera fortuna. Ora che da adulto mi è concesso di osservare e riflettere su queste dinamiche dall’esterno, son convinto che anche questi eventi, umanamente ingiusti per chi li subisce, possono rappresentare una bella occasione di crescita.
Mettiamoci nei panni dei bambini…
Mettiamoci nei panni di questi piccoli calciatori. Sognavano la finale e si ritrovano a disputare una “semplice” amichevole.Possiamo facilmente immaginare quali potenti sentimenti abbiano attraversato i loro corpi minuti in quelle ore: rabbia, delusione, tristezza, frustrazione, esclusione, rifiuto…un mix potenzialmente esplosivo di emozioni. Tutti questi sentimenti sono chiaramente legittimi, coerenti con quanto accaduto.
I bambini in questi casi potrebbero:
- perdere il controllo, lasciandosi andare a scoppi di rabbia o a pianti inconsolabili
- aggredire verbalmente l’allenatore
- sviluppare risentimento nei confronti dei compagni (ovviamente incolpevoli) che hanno avuto il privilegio di giocare la finale
- distrarsi con altre attività nel tentativo di non affrontare i propri sentimenti
- ammutolirsi per il troppo disagio
- perdere la motivazione a praticare sport
Sono tutte reazioni possibili, umane e comprensibili.
Cosa possono fare “i grandi”?
Noi adulti abbiamo il dovere di contenere e canalizzare questi sentimenti. Non è un compito semplice. Spesso capita che anche “i grandi” vadano in difficoltà in queste situazioni: la rabbia dovuta all’aver assistito a un’ingiustizia e la difficoltà nel veder soffrire i propri bambini potrebbero far perdere la lucidità necessaria per gestire le loro reazioni.
Allenatori, dirigenti, mamme, papà e nonni dovrebbero funzionare come solidi argini di un fiume in piena. È necessario, infatti, far emergere e lasciar fluire tutti i pensieri, le sensazioni, le emozioni che attraversano i bambini, avendo cura che non straripino e non causino danni. Il bisogno dei bambini è quello di sentire legittimati i propri sentimenti da qualcuno più grande, che sia abbastanza affettuoso da stargli vicino e abbastanza forte da non preoccuparsi, arrabbiarsi o deprimersi troppo. Allo stesso tempo è importante che i piccoli non perdano il rispetto dei ruoli e delle gerarchie, imparando ad accettare anche decisioni scomode e ingiuste, perché, come sappiamo, queste capiteranno sovente nel corso della loro vita. Accettare non significa rassegnarsi, anzi! Significa prendere atto di quanto successo per poi canalizzare l’energia accumulata a causa dello stress in qualcosa di utile e trasformativo, per esempio:
- scrivere in autonomia una lettera all’allenatore o alla società su come si sono sentiti e cosa avrebbero desiderato
- comunicare in modo lucido le proprie ragioni all’allenatore il giorno della ripresa degli allenamenti
- cogliere l’occasione per concentrare gli sforzi in allenamento sugli aspetti sportivi che hanno bisogno di essere migliorati
- riflettere su come loro avrebbero gestito la situazione se fossero stati dalla parte dell’allenatore e della società
- pensare a come potranno reagire se dovesse capitare nuovamente in futuro
La cultura della vittoria a tutti i costi, anche a discapito di valori fondamentali come l’impegno e la gratificazione, è difficile da scardinare dall’oggi al domani, è un processo lento che richiede tempo e pazienza. Mentre aspettiamo che la cultura si modelli su altri valori possiamo prenderci cura dei bambini, favorendone la crescita e il benessere…
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